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Giornalismo e gaming in Italia: una fotografia culturale

Un settore giovane in un Paese che fatica a riconoscerlo

Parlare di giornalismo videoludico in Italia significa affrontare un paradosso: viviamo in un Paese che ospita milioni di giocatori, una scena indipendente in crescita, un tessuto produttivo che sta finalmente emergendo, e al tempo stesso una cultura pubblica che fatica ancora a riconoscere al videogioco un ruolo significativo nella vita culturale. Per anni il gaming nel discorso italiano è stato percepito come un passatempo, una nicchia, qualcosa di “meno serio” rispetto agli altri linguaggi. Il giornalismo, inevitabilmente, ha rispecchiato questo atteggiamento.

Eppure qualcosa è cambiato. L’industria italiana si sta espandendo, gli studi crescono, i giochi made in Italy vengono premiati all’estero, la ricerca accademica prende forma, e perfino le istituzioni culturali iniziano a interrogarsi sul ruolo del medium. Dentro questo movimento si colloca il giornalismo videoludico, che oggi deve trovare una voce all’altezza di un settore in maturazione.

Un giornalismo che ha dovuto reinventarsi

Il giornalismo videoludico italiano ha vissuto tre stagioni principali. La prima è quella delle riviste cartacee, nate negli anni Ottanta e Novanta, che hanno introdotto una generazione al linguaggio del videogioco attraverso rubriche, recensioni, consigli per gli acquisti e una narrazione spesso ingenua ma ricca di entusiasmo. La seconda è quella dell’arrivo del web, con un boom di siti dedicati che hanno puntato tutto sulla velocità delle news, sul ritmo dei comunicati stampa, sull’enfasi delle anteprime, talvolta sacrificando profondità e rigore in nome della rapidità. La terza è quella attuale, segnata da una progressiva presa di coscienza: il videogioco non è solo industria, ma cultura. E se è cultura, il giornalismo non può limitarsi a replicare file di press release o ad attendere codici review: deve interpretare, indagare, criticare.

Il rapporto difficile con l’industria

In Italia il rapporto tra giornalismo e industria dei videogiochi è sempre stato più fragile che altrove. Da un lato le testate hanno spesso sofferto la mancanza di risorse, la precarietà dei collaboratori, la difficoltà di mantenere standard professionali in un mercato ristretto. Dall’altro l’industria nazionale, ancora giovane e a lungo priva di riconoscimento istituzionale, non ha sempre avuto la forza di sostenere un ecosistema mediatico stabile, capace di consolidarsi nel tempo.

Questo ha creato una dinamica particolare: molte redazioni dipendono in misura eccessiva dai publisher per contenuti, accessi, visibilità, mentre molte aziende faticano a comprendere il valore di una critica indipendente. Il risultato è un equilibrio fragile che richiede, oggi più che mai, giornalisti maturi, consapevoli del proprio ruolo e capaci di costruire un rapporto professionale senza rinunciare alla propria autonomia.

La crescita delle voci indipendenti

Negli ultimi anni sono emerse nuove voci nel panorama italiano: giornalisti che si sono formati con percorsi più solidi, studiosi che hanno iniziato a trattare il videogioco con strumenti accademici, riviste culturali che integrano il gaming nei propri spazi editoriali, festival e musei che hanno finalmente riconosciuto il videogioco come patrimonio culturale.

Questo movimento ha contribuito a ridefinire la percezione pubblica del medium. Non si parla più soltanto di “comprare o non comprare” un titolo, ma di ciò che i giochi dicono sul mondo, sulle emozioni, sull’identità, sulle strutture narrative e sulle estetiche contemporanee.

Il giornalismo videoludico italiano sta lentamente costruendo una tradizione: non è ancora forte come quella anglosassone, ma ha finalmente il terreno per diventarlo.

Il ruolo della formazione

In Italia è mancata per decenni una vera formazione nel campo della critica videoludica. Molti giornalisti sono cresciuti imitando modelli stranieri senza una guida metodologica, apprendendo più dal fare che dallo studiare. Oggi questo non basta più.

Un settore che si professionalizza richiede competenze reali: capacità di scrittura, conoscenza del medium, padronanza delle sue forme, consapevolezza deontologica, abilità di lettura critica. La formazione può colmare anni di improvvisazione, aiutare nuove generazioni a sviluppare una voce matura e portare finalmente il giornalismo videoludico italiano al livello di quello internazionale.

È un passaggio decisivo per costruire un ambiente autorevole, rispettato e culturalmente significativo.

Un futuro possibile

Il giornalismo videoludico in Italia ha davanti a sé un cammino complesso ma ricco di potenzialità. Il pubblico c’è, e non è più quello degli anni Novanta: è un pubblico adulto, formato, esigente, che vuole leggere analisi approfondite, non liste di comunicati. Le istituzioni culturali iniziano a riconoscere il valore del medium, l’industria cresce, e le redazioni – per quanto fragili – stanno finalmente cercando di rinnovarsi.

Il futuro dipende dalla qualità delle persone che entreranno nel settore. Se saranno formate, indipendenti, consapevoli della dignità del mezzo, allora il giornalismo videoludico in Italia potrà davvero diventare un riferimento culturale stabile. La sfida non è contro i creator, né contro le trasformazioni del digitale, ma contro una certa superficialità ereditata dal passato.

Superata quella, si aprirà uno spazio nuovo, più serio, più maturo, più necessario.

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