La critica come atto culturale
Scrivere critiche sui videogiochi significa entrare in relazione con un linguaggio che oggi ha assunto la stessa dignità di quelli più antichi, complessi e consolidati. Non si tratta più di assegnare voti o di sottolineare aspetti tecnici, ma di riportare a parole un’esperienza fatta di interazione, immaginario, ritmo, narrazione e presenza del giocatore. La critica è un ponte tra ciò che il videogioco costruisce e ciò che il lettore può comprenderne. E questo ponte non si improvvisa. Ha bisogno di una sensibilità allenata, di uno sguardo ampio, di un linguaggio sufficientemente flessibile da abbracciare l’intero spettro delle emozioni e delle idee che un’opera interattiva può evocare. La critica non è un giudizio: è un gesto culturale.
Superare il modello tecnico del passato
Per molti anni la critica videoludica è stata confinata dentro un modello fortemente tecnico: grafica, sonoro, longevità, giocabilità. Uno schema comodo, rassicurante, ereditato dagli anni Ottanta, quando il medium aveva bisogno di essere spiegato prima ancora che interpretato. Ma oggi quel modello è un freno. Il videogioco non vive in compartimenti stagni: vive nella relazione tra i suoi elementi, nel modo in cui l’estetica sostiene il ritmo, in cui il level design conversa con la narrativa, in cui il suono accompagna l’atmosfera, in cui il controllo diventa significato. Una critica moderna deve cogliere queste relazioni, non sezionarle. Deve leggere l’opera come un organismo, non come un insieme di comparti da valutare uno a uno. Se la recensione tradizionale scompone, la critica matura ricompone.
Comprendere l’idea dietro l’opera
Ogni videogioco nasce da una tensione creativa, da una visione, da un’intenzione precisa, anche quando non dichiarata. La critica deve imparare a riconoscere questa intenzione, perché è lì che abita l’identità dell’opera. Non è necessario conoscere la biografia degli autori né privilegiare un’interpretazione psicologica, ma è fondamentale capire quale idea di gioco sorregga l’esperienza: perché certe meccaniche sono costruite in quel modo, perché il mondo reagisce così al giocatore, perché la narrazione procede con quel ritmo. La critica diventa davvero tale quando si concentra sull’idea che tiene l’opera insieme, interpretandola con lucidità e rispetto. Ciò che un gioco vuole essere è spesso il punto di partenza più fertile per capire ciò che effettivamente riesce a essere.
La struttura come flusso continuo
Una critica ben scritta non appare frammentata, né procede per blocchi isolati. Il testo deve scorrere come un’unica corrente, talvolta lenta e riflessiva, talvolta più rapida e incisiva, ma sempre continua. La struttura non serve a delimitare, ma a sostenere il movimento del pensiero. Passare da un elemento all’altro non deve sembrare un cambio di stanza, ma uno spostamento naturale dello sguardo, come quando si osserva un panorama intero e non una serie di fotografie separate. Il videogioco è un medium fluido, e la critica deve rispecchiare questa fluidità. Una voce adulta sa tenere insieme meccaniche e narrazione, estetica e gesto, coinvolgimento emotivo e riflessione, senza spezzare, senza ricorrere a elenchi, senza rifugiarsi in formule fisse.
Una soggettività consapevole
La critica non è mai oggettiva. Non può esserlo perché nasce da un’esperienza personale, da un incontro tra il giocatore e l’opera. Ma la soggettività non significa arbitrarietà: significa responsabilità. La critica matura assume la propria prospettiva, la dichiara, la governa e soprattutto la giustifica. Un critico non si limita a dire cosa ha provato, ma spiega perché quelle sensazioni emergono, quali scelte di design le generano, quale direzione estetica le amplifica o le indebolisce. La soggettività diventa valore quando si trasforma in argomentazione. Il lettore non deve adottare il giudizio del critico, ma comprendere il percorso che lo ha portato lì. La vera autorevolezza nasce dalla coerenza interna del discorso.
La voce del critico
Ogni critica efficace ha una voce riconoscibile. Non si tratta di uno stile artificioso o di un tono costruito per stupire: è il risultato naturale di un lungo dialogo con la scrittura. La voce è ciò che permette al lettore di percepire la presenza dell’autore senza sentirsi travolto. È una compagnia discreta, non una dichiarazione di superiorità. Una critica senza voce è intercambiabile; una critica con una voce matura diventa memorabile. La voce non è l’obiettivo finale, ma l’effetto di un metodo: esercizio, lettura, riscrittura, capacità di ascoltare i propri testi con onestà.
Oltre il giudizio
Il giudizio è l’elemento meno importante della critica, sebbene sia quello che spesso attira più attenzione. Ridurre un videogioco a un voto significa schiacciare la complessità su un numero o una formula sintetica che rischia di travisare tutto ciò che realmente conta. La critica deve andare oltre il giudizio: deve offrire un’interpretazione. Quando il lettore termina il testo non deve sapere solo se il gioco “è bello”, ma perché è ciò che è. Il compito del critico non è chiudere il discorso, ma aprirlo; non è decretare, ma illuminare.
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