Recensire non è dare un’opinione
Recensire un videogioco non significa limitarsi a dire se piace o non piace, né tantomeno a riassumere l’avventura vissuta davanti allo schermo. Una recensione professionale non è un sfogo, non è un diario e non è un elenco di impressioni sparse: è un atto critico, una forma di interpretazione che trasforma l’esperienza in linguaggio. Il videogioco è un medium complesso, un ecosistema in cui narrativa, design, estetica, ritmo, interazione e suono si intrecciano fino a generare un’opera unica e irripetibile. Recensirlo significa imparare a leggere questa complessità e a restituirla al lettore in un testo chiaro, argomentato e consapevole. L’opinione personale è un punto di partenza, non un punto di arrivo: ciò che conta davvero è il modo in cui si articola, si giustifica e si connette al funzionamento complessivo dell’opera.
Giocare con metodo
Una recensione nasce dal gioco, ma non da una partita superficiale. Ogni videogioco ha un tempo suo, un ritmo, una curva di apprendimento, un momento in cui rivela davvero la propria identità. Ci sono titoli che sbocciano lentamente e altri che sorprendono all’improvviso, giochi che nascondono il loro cuore nella seconda metà dell’esperienza e giochi che cambiano radicalmente direzione dopo ore. Per questo recensire richiede pazienza, disciplina, metodo. Non basta provare: bisogna attraversare. Serve osservare come si evolvono le regole, come si trasforma la relazione tra giocatore e mondo, come il sistema premia o punisce determinate scelte. Anche i difetti non emergono subito: a volte è solo dopo molte ore che una meccanica mostra le sue fragilità o una narrazione i suoi limiti. Una recensione affidabile nasce dal contatto prolungato, non dall’assaggio.
Dare un filo narrativo all’analisi
Una recensione è un testo, e come ogni testo deve avere un ritmo, una direzione e un centro. La vecchia tentazione di scomporre un videogioco in grafica, sonoro, longevità e giocabilità appartiene al passato, quando il medium era ancora giovane e si sentiva il bisogno di catalogarlo in comparti tecnici. Oggi questa frammentazione è un ostacolo. Il videogioco non è la somma delle sue parti: è l’insieme delle relazioni tra quelle parti. Una recensione moderna non deve smontare il gioco in pezzetti, ma raccontare l’organismo. Serve trovare il tema che unisce tutto, la chiave di lettura che fa emergere il significato dell’esperienza. Senza un filo narrativo, la critica diventa una collezione di spunti. Con un filo narrativo, diventa un discorso.
Capire cosa racconta davvero un videogioco
Ogni videogioco comunica qualcosa, anche quando non sembra. C’è un’idea al centro dell’opera, una visione, una tensione, un modo di concepire l’interazione. Il compito del critico è coglierla. Non basta descrivere le meccaniche o la trama: bisogna domandarsi in che modo queste parti dialogano, come si sostengono o si contraddicono, quale immaginario evocano. A volte un gioco mediocre regala un’intuizione straordinaria; altre volte un gioco tecnicamente impeccabile resta vuoto. Il critico deve andare oltre l’apparenza, oltre la superficie grafica, oltre la spettacolarità. Deve interrogare l’opera: cosa vuole essere? Cosa vuole comunicare? Dove riesce, dove fallisce, dove sorprende?
Trovare la propria voce critica
La recensione non è solo analisi: è anche personalità. Il lettore non cerca una macchina che valuta giochi, ma un autore. Una voce critica deve essere limpida, riconoscibile, coerente, ma mai invadente. La recensione non deve diventare teatro né confessione, e nemmeno un palcoscenico per dimostrare erudizione. La voce deve accompagnare il lettore, non imporsi su di lui. Si costruisce scrivendo, riscrivendo, leggendo ciò che funziona e ciò che non funziona. È un processo lento, ma è ciò che, con il tempo, rende un critico riconoscibile e autorevole.
L’equilibrio tra emozione e razionalità
Il videogioco è un medium emotivo. Ignorare l’emozione sarebbe ingiusto, ma farne il centro della recensione lo sarebbe ancora di più. La recensione professionale richiede equilibrio: saper riconoscere le emozioni provate, ma anche dominarle, capirle, interpretarle. Non si scrive “perché mi è piaciuto”, ma “come e perché ciò che ho provato nasce dalle scelte del gioco”. L’emozione diventa un dato critico, non un argomento. La recensione non deve manipolare il lettore, né trascinarlo in un eccesso di entusiasmo o disillusione. Deve restituire lucidità.
Costruire un finale che apre, non che chiude
La conclusione di una recensione non è una sentenza né un riassunto. È il momento in cui l’analisi trova la sua forma definitiva, dove tutti i frammenti del discorso convergono senza diventare un elenco. Una buona conclusione non impone, ma chiarisce. Non “chiude” la lettura, ma la completa. Se il lettore sente di essere arrivato a qualcosa, allora la recensione ha compiuto il suo dovere.
Oltre il voto
Il voto numerico, quando presente, non dovrebbe mai essere la ragione d’esistenza della recensione. Un numero è sempre riduttivo: schiaccia la complessità, semplifica, dà un’illusione di oggettività che non appartiene al medium. La recensione deve vivere anche senza il voto, perché è il ragionamento – non la cifra – a determinare il valore del testo. Il lettore può essere d’accordo o meno, ma deve capire il percorso che ha portato il critico a quella posizione.
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